.... Un augurio da parte mia di trascorrere il Natale con chi amate di più, con chi vi incatena il cuore... non dimenticando chi ci passa accanto con un fardello più pesante del nostro...
Fa freddo, tremendamente freddo. Il suolo ghiacciato si fa tutt'uno con la sua schiena. Fa così freddo che non riesce nemmeno a tremare.
Il suo nome non lo ricorda, o forse si ma non importa, nessuno lo dovrà chiamare da qui all'eternità. Poi, se proprio voglio parlargli, lo chiamano con tanti nomi: barbone, ehi tu, scemo, bastardo.
Potrebbe chiamarsi Caino, più facilmente Abele.
Lui invece non chiama, non parla: vive.
Vive in un androne, finchè lo lasciano lì. Poi bagnano il pavimento dell'androne con una secchiata d'acqua e lui non trova posto se non sotto l'albero dei giardinetti.
L'albero lo fa restare, gli fa da casa, da armadio, da letto.
Ma sotto l'albero si può restare solo se non piove, se non passano i ragazzi della scuola vicino.
Se nevica va bene lo stesso, la neve è leggera e non pesa sul cuore.
Si è trascinato fino a quell'albero e ha disteso le sue poche cose: una coperta, un vecchio plaid, un pezzo di cartone. Poi si è coricato che era ancora presto per anticipare il freddo con l'alcol che ha in corpo. Di andare ad orinare non se ne parla, anche quella è calore.
Calore che esce dal corpo, che cammina verso il gelo, verso il nulla.
Se passerà anche questa notte domani sarà di nuovo in piedi, a scaldarli battendoli sul pavimento dei portici, tra la gente che passa quasi sempre indifferente.
Si scosta la gente, al suo passaggio, non tutta ma molti lo fuggono.
Molti lo conoscono da anni, non ricorda nemmeno da quanti, e li incontra tutti i giorni.
Le vecchie con le borse della spesa ed il passo strascicato, come il suo.
Le incontra in fila al Supermercato, mentre tenta di comprarsi un filone di pane, una cosa qualsiasi da mangiare, con gli spicci che non ricorda nemmeno dove ha trovato.
Lo fanno passare, alcune gli pagano quello che ha in mano. Non riesce a parlare Abele (lo chiamerem così). Fa fatica a ricordare le parole, fa fatica ad avvicinare gli *altri*.
Fa fatica ed ha paura. Paura di vedere ancora quella luce forte, di sentire quel dolore.
Un anno fa, la neve, il freddo come ora. E lui all'improvviso non ha capito, ha visto delle ombre, ha confuso l'odore dell'alcol dentro e fuori di se. Poi la luce, terribile accecante ed il dolore. La luce tutta attorno e lui che il freddo non lo sente più sul corpo ma nell'anima. Quel ragazzo che lo butta sulla neve, la luce che finisce mentre non finisce il dolore.
Poi l'ospedale, quella stanza bianca che puzza di disinfettante ed ancora dolore.
Si gira sul prato gelato sotto l'albero. Si gira e vede quella finestra, illuminata come sempre. Dietro alla finestra si vede una figura che lo fissa, non lo vede ma lo *sente* quello sguardo.
E' lo sguardo di una donna, la vede spesso passare sotto i portici, a volte sola, a volte con un bambino per mano. La vede affacciarsi alla finestra, la sente parlare con il bambino e con un uomo. Di lei non ha paura, tace, la vede passare, la vede al Supermercato e sa che non ha paura, sa che non cambierà strada, sa che lo farà passare con un sorriso triste.
Degli uomini invece ha paura. Assomigliano tutti a quelle ombre, quelle prima della luce che brucia.
Fa ancora freddo ma si sentono dei passi.Cinque uomini arrivano e si avvicinano.
Ha paura Abele, si copre il capo, aspetta ancora quella luce terribile.
Invece una mano, gentile, lo scuote e lo chiama. Sono vestite strane queste ombre, di arancione e di bianco. Un bianco accecante che riflette. Gli chiedono se vuole farsi portare al caldo in mezzo ad altri come lui.
Non vuole andare, non vuole vedere nessuno, prova a farglielo capire.
Ci provano ancora a convincerlo poi gli lasciano qualcosa vicino, lo coprono con un'altra coperta e si allontano scuotendo il capo.
Solo. Di nuovo. Davanti a quella finestra illuminata dove la donna è affacciata e scuote debolmente la testa.
Si gira Abele, si rimette a dormire, per ingannare la vita.
La donna continua ad osservarlo. Le si stringe il cuore a vedere quel giovane con il viso deturpato dalle fiamme, con il corpo segnato dalla strada e dal freddo.
Pensa che è stato anche lui bambino, proprio come il suo, ma meno fortunato. Pensa a lui ed alle opportunità che non ha avuto.
Avrà conosciuto l'amore di una madre, di una famiglia? Dubita.
Ha visto gli *angeli* avvicinarlo e non riuscire a convincerlo a muoversi da lì, da quel terreno gelato e duro, dalla vita che ti addenta il corpo come un cane un osso.
Sa che non si lascia avvicinare, non chiede, non importuna. Sa che in fila al supermercato si lascia pagare quello che ha in mano (il più delle volte pane, ma molto spesso alcol) e vede di essergli dietro nella fila per aiutarlo un po' lei pure senza giudicare perchè il giudizio pesa. Pesa sulla coscienza di chi giudica.
Lo ha visto ritornare sei mesi dopo essere stato portato via d'urgenza, ustionato tanto da disperar di salvarlo, sei mesi senza saperne nulla. Sei mesi cercando nell'androne sotto i portici quella figura barcollante, puzzolente ma... viva.
Poi l'ha visto tornare ad aggirarsi nella zona, ed ha chiamato a gran voce l'uomo ed il bambino, come quando si vede da lontano tornare un amico.
Ha paura, la donna, ma una paura diversa. Ha paura di non sapere avvicinare questa vita, che pare tutto fuorchè un dono, ma è preziosa.
Ha paura di non capire, di non riuscire a trovare la strada per aiutare.
Di una cosa è sicura: dietro quegli occhi atterriti, quel viso sfigurato, quegli abiti logori e puzzolenti, c'è lo stesso sguardo di un bimbo che riposava nella paglia .... 2012 anni fa, di questi tempi.
Fai piangere. Se ti capita digli buon Natale da parte mia. Ci si sente terribilmente impotenti davanti a queste persone ed è ancora più triste. L'alcool mi scatena un rifiuto totale, come qualsiasi psicotropo. Difficile, tanto.
RispondiEliminaBuon Natale a te.
Difficile, purtroppo, lo è per troppi.
EliminaIl tuo augurio glielo porto di sicuro, assieme al mio.
Buon Natale
Nora
Grazie.
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