Ha la luce che penetra dalla finestra e si riflette sui cristalli della tavola apparecchiata con i piatti del servizio "buono", quello con le rose dipinte.
Con le forchette d'argento che sono state tirate a lucido da Nonna, i giorni precedenti al Natale.
La tavola aspetta l'antipasto, rigorosamente di salumi, con i sottaceti che traboccano dall'antipastiera di cristallo che pesa come chi l'ha disegnata.
Poi i cappelletti, o le lasagne, o i ravioli e poi, tra i secondi che cambiavano ogni anno, arrivava Lui, sempre uguale, sempre profumato e goloso non poteva mancare sulla tavola di Natale: il Vitello tonnato.
Quando Nonna Maria non ce la fece più a cucinare, il pranzo venne spostato in casa nostra con grande agitazione di mamma che non ha mai amato cucinare e che sapeva di dover competere con la bravura di nonna.
Poi mi sposai io e, dal primo anno di matrimonio, "il pranzo" si fece da noi sposini.
Nonna non c'era più ma le sue mani abili, la sua passione, mi è stata sempre di grande ispirazione per tutti i pranzi e le cene di famiglia.
Ovviamente LUI, il Vitello tonnato, non poteva mancare e quindi già il primo Natale di quel 1991 fece la sua bella figura nel vassoio guarnito sulla mia tavola.
Tutti contenti, tranne mia mamma. Il tutto perché papà, con il tatto di un elefante, fece notare a tutti che il vitello tonnato che avevo fatto io era identico al capolavoro fatto da Nonna Maria ogni Santo e Benedetto Natale.
Da quel momento non mancò mai sulla mia tavola delle Feste e mamma... beh non si diede più pena di farlo a papà sostenendo che - poteva mangiarlo da sua figlia che era più brava di lei!-