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domenica 5 febbraio 2017

Il RISOTTO ALLA MILANESE ovvero Valerio di Fiandra, Zafferano e un dispetto per amore.


E’ un’alba bellissima che colora di rosa il cielo di Milano in questo 8 Settembre 1574. Valerio di Fiandra, mastro vetraio artefice delle splendide vetrate che abbelliranno la Cattedrale gotica dedicata a S. Maria Nascente, si aggira nel cantiere del Duomo. Tra ponteggi e attrezzi lasciati incustoditi dai lavoranti, un velo di polvere si posa sui pavimenti ingombri, mentre la luce attraversa le porzioni di vetri già risplendenti di colori e di figure che paiono animarsi.
Sarà un giorno importante oggi e, prima della cerimonia delle nozze della sua figliola, Mastro Valerio vuol controllare che tutto sia a posto. Orgoglioso contempla il lavoro svolto dai suoi assistenti. 
Tra questi il più dotato è sicuramente Zafferano (il nome vero non se lo ricorda ancora, ma il soprannome, quello sì!): il suo tocco è d’artista, i suoi colori risultano i più brillanti, forse perché usa sapientemente questa polvere dorata e profumata (lo zafferano appunto) che gli è valsa un soprannome che ne ha addirittura fatto scordare il nome vero.
Ragazzo strano, questo Zafferano. Tanto bravo e pieno di estro nel suo lavoro, tanto chiuso e schivo, anche quando lo incontra al “Bettolino dei Preti”, l’osteria del padre del suo futuro genero.
L’osteria, appunto… quasi quasi vien voglia di un buon bicchiere. No, oggi non c’è tempo. Sua figlia si sposa e lui non può farsi venire a prendere ancora dalla figliola come quando, incapace di ritrovare la strada di casa la sera dopo il lavoro, di bicchieri ne aveva bevuti troppi.
Pazienza. Mastro Valerio torna a casa, accompagna la figliola all’altare e la affida al figlio dell’Oste, quello che, sera dopo sera, vedendola riaccompagnare a casa il padre un po’ alticcio, ha trovato il coraggio di farle la corte e di chiederla in sposa.
Per il pranzo di nozze poi ci saran tutti i Capi Mastri, i suoi operai, i suoi amici più cari e, visto che non si posson lesinar quattrini in questi frangenti, tante saranno le portate. Tra le altre, un buon piatto di riso che sarà un degno augurio di abbondanza e di fecondità per i novelli sposi. Sì, il riso è un piatto da “signori”, ma in questa occasione non si può perder prestigio e scegliere una zuppa qualunque per gli invitati!
A tavola sono tutti allegri (il vino dell’Oste è sicuramente apprezzato da molti!) ed ecco che arriva il momento di servire il piatto di riso. L’Oste è imbarazzato e sussurra all’orecchio di Mastro Valerio che il riso, stavolta, è venuto “colorato”! Buono è buono, ma è di un giallo intenso… Oramai è tardi per cambiare la portata e, tra lo stupore degli invitati, viene scodellato un riso giallo oro. Ha un profumo delicato ed il sapore è straordinariamente sorprendente, tanto da conquistare tutti i commensali.
Tra di loro, solo uno ha lo sguardo cupo e, vedendosi osservato da Mastro Valerio, Zafferano arrossisce vistosamente.
Confesserà più tardi al suo Capo Mastro di avere agito per gelosia. Lui, che si era innamorato della fanciulla vedendola al fianco del padre quando veniva in cantiere, ha versato per dispetto un pugno di quella polvere di zafferano nel pentolone con il riso che cuoceva in cucina. Ma, si sa, dispetti per amore non si fanno e quello che doveva divenir un disastro, si è trasformato in un piatto sopraffino. Tanto gradito da diventare col tempo il “Risotto alla Milanese”, spesso scelto nei matrimoni come portata beneaugurante.
Questa, in breve, la storia di una delle molte leggende che datano la nascita del Risotto alla Milanese; tra tutte quelle nate attorno al famosissimo “risotto giallo”, ce ne sono diverse, è quella che mi piace considerare quale più plausibile.
Il fatto certo è che fin dal ‘500 i Francesi parlano di una “vivanda di riso alla lombarda e che il genio della cucina rinascimentale, tal Maestro Martino, nel suo ricettario De Arte Coquinaria, ne parla citando, tra gli ingredienti, lo zafferano.
Diciamo che prima di arrivare al risotto inteso come in epoca moderna, con il riso tostato, cotto pian piano con aggiunta di brodo, dovrà passare del tempo.
Inizialmente si parla di riso bollito. Solo nel 1809 si comincerà a parlare di riso giallo in padella saltato (con “cervellata”, midollo e cotto nel brodo dove è stato stemperato lo zafferano) da una ricetta di un autore di un ricettario, Il Cuoco Moderno, di cui si conoscono solo le iniziali, L.O.G.
Da qui in poi tante sono state le “evoluzioni” e le aggiunte fatte alla ricetta originaria: unendo il vino per sfumare; omettendo il vino; aggiungendo il midollo di bue o addirittura la salsiccia.
Anche Pellegrino Artusi ce ne lascia ben due versioni: la prima senza vino e senza midollo e la seconda con midollo e vino (vino usato per sgrassare il fondo lasciato dallo stemperarsi del midollo nel soffritto).
Esistono numerose versioni di questa pietanza e, pur avendo consultato anche svariate ricette “stellate”, preferisco usare quella di Nonna Maria, Milanese DOC, che poco si discosta dalla maggioranza di queste.
Credo sia stata la prima ricetta che mi ha insegnato e che faccio ad occhi chiusi, riscuotendo sempre un discreto successo. La mia difficoltà è stata pesare tutti gli ingredienti che, da buona massaia milanese, ho sempre gestito “ad oecc” (ad occhio).

RISOTTO ALLA MILANESE




Fate stufare a fuoco basso le cipolle con 40 g di burro ed il midollo di bue tritato finemente. Controllate che le cipolle appassiscano e non diventino brunite.



Aggiungete il riso, alzate la fiamma, e fatelo tostare continuando a mescolare con il cucchiaio di legno, sino a che i chicchi diventeranno traslucidi.



Sfumate con il vino bianco e appena questo sarà evaporato, abbassate la fiamma ed unite il brodo di carne poco alla volta, facendo cuocere a fuoco dolce e mescolando di tanto in tanto per circa 15 minuti.



In una tazzina fate stemperare lo zafferano in 2 cucchiai di brodo caldo ed aggiungetelo al riso.




A questo punto il riso sarà cotto (al dente). Spegnete la fiamma, aggiungete il Parmigiano, una grattugiata di noce moscata (non esagerate altrimenti coprirà il sapore dello zafferano) ed i restanti 40 g di burro. Non mescolate subito, coprite con un coperchio e lasciate riposare per 5 minuti.





Mantecate il riso con un cucchiaio di legno e servite subito.




Questo è il risotto che solitamente, nella tradizione milanese, accompagna gli ossibuchi di vitello con la gremolata (battuto di prezzemolo, scorza di limone e aglio).


Questo è quanto ho raccolto e scritto per il Calendario del Cibo Italiano ed è stato pubblicato qui il 7 Dicembre 2016.


Bibliografia:
Il risotto alla Milanese (Felice Bonalumi)
Per un Codice della Cucina Lombarda (Regione Lombardia)
Mangiando Medievale: Mastro Martino de Rossi – Libro de Arte Coquinaria
Risotto alla Milanese –Racconto di Carlo Emilio Gadda

3 commenti:

  1. Qui più che "a oeucc" si fa "a stim" (a stima) che è la stessa cosa. E non cambia nemmeno il risultato: un risotto morbido, profumato e saporitissimo che si sposa perfettamente con gli ossibuchi (mi autoinvito)...ma che cosa ne dici se lo serviamo con del rognone trifolati?

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    1. Rognone aggiudicato. Almeno per me. Per gli XY sarebbe chiedere troppo!
      Baci
      Nora

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  2. Ciao TataNora adoro leggerti. Come per altro adoro il risotto alla Milanese.
    Buona serata

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