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domenica 30 settembre 2012

L'AUTUNNO ED UNA PASSIONE... LA ZUCCA

Mi intriga l’Autunno. Mi è sempre piaciuto: con i suoi ultimi caldi che rincorron a piedi nudi l’Estate, come dei bambini disobbedienti che non vogliono tornare a casa dopo i giochi.
Con l’umidità della terra che riempie le narici; con i profumi del bosco che san di terra, di foglie, di funghi.
Con il ticchettio della pioggia battente, sui vetri di casa, a dar il ritmo all’orologio della stagione.
Amo l’Autunno con il risveglio che si tinge d’aurora; con la giornata che si accorcia e la sera che scende  umida, ad accompagnar giornate piene e rinnovate di impegni.
Amo l’Autunno  con le cartelle colorate, le voci dei bimbi fuori di scuola e le risate, e gli ultimi calci al pallone ai giardini.
Amo l’autunno perché ha un ritmo lento. Si adagia, mollemente, mentre tutto si prepara al sonno invernale.
Mi piacciono i colori che porta con se.
Mi piace il verde che sfuma in giallo, sui prati e sulle rive delle colline.
Amo il rosso cupo delle fronde degli alberi,  che si preparano al sonno invernale come una bella donna indossa la sua camicia da notte color amaranto per una notte d’amore con il suo amato.
L’arancione dei frutti maturi che la terra ci dona, quasi fossero scrigni chiusi a contener gli ultimi raggi di sole, di calore, di profumo.  Ed il profumo del mosto, raccolto nei tini, che inebria i sensi come l’amore.
Godo del rumore delle foglie sotto i miei piedi, mentre cammino nel bosco dietro casa.
Si frantumano con il suono delle fiamme scoppiettanti nel camino appena acceso. Fan sentire meno soli i miei passi.
Rinasco al calore di un risotto con il color del sole, con i chicchi che si mescolano ai sapori, a scaldare anima e cuore… con la mia famiglia accanto.
Mi intriga l’Autunno, ed è appena cominciato!

RISOTTO CON LA ZUCCA

Ingredienti per 3 persone:

gr. 300 di riso Carnaroli
gr.200/300 zucca mantovana
1 l. di brodo di verdura (io con il dado vegetale fatto in casa)
gr. 50 di porro tagliato sottile
1 bicchiere di vino bianco (io Traminer)
2 cucchiai di olio EVO
gr. 20 di burro
noce moscata






Tagliare il porro a fettine finissime e grattugiare la zucca lasciandone da parte qualche pezzetto da tagliare a piccoli quadretti.
Versare in padella 2 cucchiai di olio EVO e far stufare a fiamma dolce la zucca ed il porro con un poco di brodo vegetale per 10 minuti circa (con il coperchio).
Quando la zucca comincerà ad ammorbidirsi, scoprire la pentola, aggiungere il riso e far tostare sino a che i chicchi diventeranno traslucidi.
Bagnare con il vino bianco e lasciar evaporare.
Aggiungere il brodo caldo continuando a rimestare e cuocere a fiamma media per 10 minuti continuando a rimestare ed ad aggiungere brodo maniman che si asciuga.
Continuare la cottura sino a che il riso sarà cotto ma al dente.
Spegnere la fiamma. Aggiungere il burro ed una generosa grattugiata di noce moscata. Coprire con il coperchio e far riposare 5 minuti prima di mantecarlo.
Servire in piatti caldi... e lasciarsi scaldare il cuore.

Con questa ricetta partecipo al contest *Colora il tuo autunno* di Ely del blog Nella cucina di Ely per il colore e per... aver grattugiato la zucca (lato *grosso* della mandolina)!



Con questa ricetta partecipo pure al contest VinceRice di Rice


venerdì 28 settembre 2012

MIRACOLO A MILANO ED UN RISOTTO CHE FA MIRACOLI.


foto da WEB
Vi piacciono le favole? A me si, da sempre. Le leggevo da bimba, le ho lette a mio figlio e le scrivo pure.
Ma, soprattutto mi piace leggerle. Non è affatto vero che sono sempre a misura di bambino, tante sono forse più indicate per noi che ci definiamo *grandi*, mi viene da pensare a *Il piccolo principe* di Antoine de Saint- Exupéry oppure *La fata
carabina* di Pennac.




foto da WEB

Tra queste favole da grandi, ce n’è una tratta da un romanzo per ragazzi di Cesare Zavattini che è diventata un film. Il romanzo è *Totò il buono* ed il film è *MIRACOLO A MILANO* del 1951 per la regia di Vittorio De Sica.
Sembra assurdo ma la polemica che è sorta attorno a questo film è stata enorme. Lo hanno contestato i progressisti per essere troppo consolatorio (tanto da esserne vietata la rappresentazione in Unione Sovietica) e venne osteggiato anche dai conservatori che lo tacciarono di essere una favola che inneggiava al comunismo.  

Siamo nei primi anni del dopoguerra, dove una Milano martoriata dalle bombe si rialza, pulisce le ferite, spazza le strade dalle macerie e ricomincia vivere.
La guerra ha lasciato senza casa e lavoro tantissime persone e la povera gente si ingegna come può.
E’ in questo contesto che Totò, neonato trovato sotto un cavolo da un’anziana signora (la sig.ra Lolotta) non viene dimenticato ma, alla morte di questa che lo ha accudito, viene affidato ad un orfanotrofio.
Ritorna a Milano dopo alcuni anni, ormai uomo fatto con tutti i suoi averi in una valigia che gli viene rubata da un barbone. Invano cerca lavoro tra chi a malapena risponde ai suoi *Buongiorno*.
Di colpo sprofondato nella miseria più nera, si trova a condividere la vita dura dei barboni; di chi sopravvive in baracche e si difende dal freddo e dalla fame come può.
Trova anche l’amore, negli occhi di una domestica (Edvige), che per desiderio ha un paio di scarpe.
foto da WEB
La sua benefattrice gli appare in sogno e gli regala una colomba portentosa. Questa ha il potere di trasformar i sogni in realtà. Tra la miseria comincia  una gara a chi desidera di più, e quella che era miseria materiale diventa una sorta di miseria morale.
Per diventar lotta per la sopravvivenza quando, il proprietario del terreno dei baraccati, trova il petrolio e li caccia dal terreno con la forza pubblica.
Ma il lieto fine in una favola ci DEVE essere, quindi la scena conclusiva del film, quella che ci ricordiamo tutti quanti,e vede tutti gli oppressi a cavalcioni delle scope degli spazzini di Piazza Duomo, mentre volano *verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno*.

Questo per ricordare che i miracoli avvengono ovunque… anche in una città come la mia Milano… basta crederci.
Tutta questa dissertazione sul cinema e sulle favole per cosa, vi chiederete voi? Per il bellissimo contest di Patty del blog Andante con Gusto!
Avevo promesso di partecipare ma … mi chiedevo quale film potessi citare, che mi potesse in qualche modo rappresentare meglio. Solo ieri mi è tornato alla memoria questo film. 
Mi rappresenta perchè amo le favole ed i lieto fine, credo che tutti debbano cercare la propria opportunità di redenzione, e credo che, a dispetto di tanti, un mondo dove *buongiorno* significhi veramente *buongiorno* esista veramente ma bisogna cercarlo altrove. Nel *mondo* di chi non vive prevaricando gli altri ma che vuol ascoltare e non solo essere ascoltato; di chi sa tendere la mano a chi non è così fortunato, che lo fa in maniera lieve, senza la grancassa a chiamar attenzione; di chi ha imparato che nella vita esistono i miracoli …
Mi rappresenta perché amo anche la Mia Milano, quella che ha il cuore in mano…. Non solo per modo di dire.
Poi ci voleva una ricetta per accompagnare questo bel film e, quale ricetta se non il risotto con la salsiccia e lo zafferano che faccio sempre?
Quindi eccovi la mia ricetta….per un altro miracolo ma nel piatto, questa volta.
Miracolo perché il *riso giallo* è un must a Milano ma nel dopoguerra, il periodo storico nel quale è stato ambientato il film, non era facile reperire tutti gli ingredienti.
Il riso si comprava con i punti della tessera ed un pezzo di salsiccia era già una festa e lo si faceva durare tanto…
Nel riso dava sapore, e l’illusione di mangiare la carne, come *i sciuri* (i signori).
Nei racconti dei miei nonni, che furono tra coloro che persero la casa sotto le bombe di Agosto del 1943, questo periodo e queste ristrettezze non risparmiarono nessuno e questo riso era un miracolo che riempiva il cuore (oltre allo stomaco).
Il film ripropone queste ristrettezze, la fatica di ricominciare ed il miracolo di trovar di che sfamarsi… magari con un piatto di risotto caldo. Un po' come il desiderio di Edvige, un paio di scarpe nuove...

 Quindi eccovi la mia ricetta….

RISOTTO ZAFFERANO E SALSICCIA

Ingredienti (per 3 persone)
300 gr. di riso Carnaroli
150/200gr di salsiccia a nastro
1 l. brodo di carne (quello del lesso va benissimo!!)
1 bicchiere di vino rosso (io barbera... avevo aperto quello!)
1 cipolla dorata piccola
20 gr. burro
40 gr. parmigiano grattugiato
1 bustina di zafferano
Noce moscata q.b.


Procedimento:
Tritare finemente la cipolla, tagliare a tocchetti piccini la salsiccia.
In una padella larga far soffriggere a fuoco basso la cipolla con la salsiccia (non mettere altri grassi perché la salsiccia farà da condimento). Appena la cipolla diventa trasparente, aggiungere il riso mescolando. Far tostare fino a che il chicco diventerà trasparente.
Bagnare con il vino rosso e far sfumare.
A questo punto aggiungere il brodo caldo un mestolo alla volta, continuando a mescolare e ad aggiungere brodo man mano che viene assorbito dal riso. Non coprire mai con il coperchio.
Dopo 10 minuti aggiungere, sciolto in un poco di brodo caldo, lo zafferano.
Far cuocere per altri 5 minuti (il riso deve essere al dente, non spappolato)
Spegnere la fiamma, aggiungere parmigiano, il burro e una generosa grattata di noce moscata, SENZA MESCOLARE. Coprire con un coperchio e lasciare riposare 5 minuti.
Mantecare il riso e servire in piatti caldi.

Con questa ricetta pertecipo al contest LA COMMEDIA E' SERVITA di Patty del blog Andante con Gusto .

mercoledì 26 settembre 2012

TORTE SALATE PER UNA SFIDA TUTTA DA RACCOGLIERE.



La sfida mensile di MenùTuristico è così coinvolgente che non sono riuscita a tenermi: ho dovuto proprio farne altre versioni, due per la precisione!
E dire che credevo di non riuscire a farne nemmeno UNA.
Quello che mi aveva entusiasmato della ricetta di Vittoria (detta Vitto) di La cucina piccolina, era proprio il suo entusiasmo nel riproporre una ricetta della sua tradizione, quella Ligure e Genovese, che io apprezzo tantissimo.
Non sono una professionista del fornello (e si vede!) ma amo tantissimo cucinare.
Ritengo che le tradizioni in cucina siano la parte da non perdere della nostra cultura.
Travolti dalle passioni e dalle mode de momento, dalle *cucine* che a volte più che fusion sono *fuse*, ci stiamo dimenticando dei sapori semplici ma gratificanti di nostri piatti tipici, che contengono prodotti di stagione e la fantasia, la creatività che ci sono congeniali, per appiattirci nel *gusto* della globalizzazione.
Non nego che a volte sia bello provare cucine e gusti differenti; ma di qui a farne il NOSTRO stile alimentare, ne corre di strada!
Pertanto mi sono ritrovata in campagna a pensare ad altre tradizioni (liguri e non solo) per le torte salate e mi è bastato un *passaggio* nel mio terreno per ricordarmi di quanto sia generosa Madre Natura.
A ricordarmelo sono state le foglioline delle ortiche e quelle della borragine che si sono salvate dalla furia distruttrice del mio Martirio e del suo decespugliatore.

Nel vano tentativo di dar una parvenza di ordine al terreno che circonda la casetta gialla,un mese fa il Martirio aveva *raso al suolo* tutto ciò che cresceva nel prato, eccezion fatta delle piante di rose e di qualche altra specie da noi piantata e sopravvissuta all'incedere delle ortiche.
Dure, ostinate, resistenti,ortiche e borragine sono ricresciute, si sono rialzate come le spalle forti dei nostri contadini, che hanno scoperto che queste erbe apparentemente solo infestanti, rendono bene in cucina.
Le ho usate spesso pure io.
Le ortiche per gli gnocchi, la frittata, le tagliatelle... oppure per le torte salate, con una pasta simile a quella di Vittoria ma che cuocio sulla fiamma e non in forno.
Della borragine ho già parlato QUI ma la uso anche per insaporire altri piatti e... per le torte salate!
Passare da questo ragionamento all'idea di due nuove versioni? Il tempo di cogliere due manciate di foglie fresche e di ritornare in cucina.

Volendo preparare delle monoporzioni, ho pensato che le uova intere fossero troppo *esagerate* per cui ho utilizzato quelle di quaglia, piccole, e più proporzionate al mio dosaggio.

VERSIONE 1 -
TORTA SALATA DI BORRAGINE, SIMIL-PRESCINSEUA E UOVA DI QUAGLIA.

Tipicamente ligure nel contenuto, essendo un'erba (questa volta legale!!) la borragine, che si utilizza molto nella cucina dell'entroterra ligure ma anche nella cucina di alcune zone del Piemonte.
Unica attenzione da porre con i bimbi, suggerisco di non proporla prima dei 6-7 anni di età.


FORMAGGIO SIMIL PRESCINSEUA
(da una ricetta tratta da Sale&Pepe di Agosto)

500 gr di yogurt intero
Maggiorana fresca (un paio di rametti)
Olio EVO
Sale
Coprire un colino con un telo fine (io un tovagliolo bianco di cotone) posare su una ciotola e versare lo yogurt.
Trasferire in frigorifero e lasciare sgocciolare per 12 ore.
Tritare  la maggiorana e mescolare allo yogurt aggiungendo un pizzico di sale.
Mescolare e lasciare sgocciolare lo yogurt nel colino ancora per 10-12 ore in frigo.

Per la Pasta della Pasqualina

300gr di farina 0 (non avevo la Manitoba...acci)
6gr sale
30 gr olio
1/2 bicchiere vino bianco secco (buono!)
1/2 bicchiere acqua
olio EVO per spennellare la sfoglia.

NB per le due torte salate monoporzione... ho usato delle teglie da 10/13 cm.

Pasta: Impastare  farina “0” (meglio manitoba regge meglio quando si tira sottile) con sale,  olio, ½ bicchiere di vino bianco secco e circa ½ bicchiere di acqua bastante per una pasta morbida (circa 150 gr di liquidi), ma non appiccicosa. Dividere in 5 palline (per ogni teglietta) e fare riposare coperta almeno 1 ora, meglio 2.

Pulite 500 gr di borragine, togliendo quasi tutta la parte del gambo, scottatela alcuni minuti (dai 3 ai 5 minuti, dipende dalla grossezza delle foglie) in abbondante acqua salata, mettetela ad asciugare su un canovaccio pulito. Tritatela grossolanamente e saltatela in padella con olio e.v.o. maggiorana e cipolla tritata. Deve asciugarsi bene l’umidità. Lasciare raffreddare.
In una ciotola lavorate 250 gr di “prescinseua” genovese (io il formaggio casalingo) con 50 gr circa di parmigiano grattugiato, un pizzicone di maggiorana, sale e pepe.

Mescolare la borragine al composto di formaggio.
Stendete una pallina in una sfoglia sottile e foderate il fondo e le pareti di una teglia tonda (diametro 10/13 cm.) unta d’olio facendola un poco debordare (ungete anche il bordo della teglia altrimenti la pasta si strapperà quando dovrete arrotolarla) Ungete la pasta di olio con il pennello, stendete la seconda sfoglia. Versate dentro il composto di borragine e formaggio.

Poi con il dorso di un cucchiaio fate 1 o 2 incavi a distanza regolare e in ognuno rompete un uovo; salate e pepate e versate un filino d’olio su ognuno. Le altre 3 sfoglie devono essere tirate sottilissime e non devono assolutamente avere buchi; io le tiro prima con il matterello e poi mi aiuto allargando la sfoglia con i pugni infarinati e ruotandola quando la sfoglia è grande, per quelle piccole mi aiuto con le nocche delle dita (non è facile farlo senza bucare la sfoglia).
Tirare la prima delle tre sfoglie e coprire il ripieno facendo debordare la sfoglia di lato. Ungere bene la superficie con un pennello o con le dita delicatamente (sotto ci sono le uova intere!!!). Appoggiare la seconda sfoglia, ungere bene, appoggiare al bordo una cannuccia per soffiare aria fra uno strato e l’altro di pasta del coperchio, appoggiare l’ultima sfoglia e ungete anche questa molto bene. A questo punto arrotolare il bordo a cordoncino (se è troppo tagliarne una parte con le forbici).
Se usate una cannuccia con il gomito non ci sarà rischio che qualche micro goccia di saliva arrivi alla torta, terrore di molti!!! Una volta si usava un maccherone lungo!
Quando è ben gonfia come un palloncino togliete rapidissime la cannuccia e sigillate l’apertura.
Infornare a 180° fino a doratura della pasta. (Attenzione, sono piccine... cuoceranno prima!)
Appena tolte dal forno spennellate delicatissimamente di olio. Raffreddandosi la pasta si ammorbidirà e, se l’avrete fatta abbastanza sottile, scenderà come un velo!


VERSIONE 2 -
TORTA SALATA ORTICHE, SIMIL-PRESCINSEUA E UOVA DI QUAGLIA.

Procedere come per la borragine ma la quantità di ortiche sarà limitata ad un paio di manciate di foglioline tenere, scottate in acqua salata bollente per 2 minuti. Scolate, tritate grossolanamente e fatte saltare in padella con uno spicchio d'aglio (che toglierete appena finito) fino a farle asciugare.

Mescolare al composto di formaggio e foderare le tegliette con il composto, fare 1 o 2 incavi con il dorso del cucchiaio, rompere le uova di quaglia, salare, pepare e ricoprire come per le precedenti.

Anche per le ortiche vale l'attenzione al proporla ai bimbi sotto i 7 anni.

Con queste ricette partecipo all'MTC di Settembre....E DUE E TRE!!!

 


domenica 23 settembre 2012

DALLA PASQUALINA NON SI SCAPPA.... ED E' TORNATO L'MTC


Torna l’MTC e mi mette in uno stato di euforia … ma mi manda anche in  crisi.
Si, perché io le torte salate le faccio (e le mangio , sa va sans dire) da sempre. Mi piacciono tantissimo ma la mia preferita è sempre stata la *Pasqualina*. 
Sarà perché mie *antiche* frequentazioni della città di Genova mi hanno portato a conoscerne la cucina. Sarà perché mi ricorda la gioventù, quando con le amiche si scendeva a Zena a cambiare treno per il fine settimana ad Ovada, si perdeva *di proposito* la coincidenza per addentrarci nei suoi caruggi a comprare focaccia, trenette…. e Pasqualina, in alcuni forni piccolissimi, senza fronzoli, ma speciali che c’erano solo a Zena.
Oppure sarà perché a me piatti semplici (poveri è riduttivo…) sono sempre piaciuti e ritengo che tradizioni alimentari che ci vengono da ricette tramandate da nonne, madri, zie, siano la migliore cucina che si possa fare e gustare.
Sia quel che sia, io adoro la Pasqualina, quella con la P maiuscola, con tutti gli strati leggeri leggeri che velano un ripieno che sazia stomaco e animo. Pasqualina è un formaggio cremoso ed unico, le biete piccoline piccoline, le uova con il giallo che sorride dal ripieno. E’ voglia di primavera, di semplicità, della leggerezza di un piatto unico e sostanzioso ma, soprattutto di soddisfazione.
In crisi perché a giudicare ci sarà una Zeneise DOCG che la Pasqualina la fa a pugni ed occhi chiusi. In crisi perché io la “prescinseua” sarei tanto tentata di andarla a comprare a Genova e con la scusa andare a trovare un amico chef Genovese che mi potrebbe dare ulteriori dritte o suggerimenti su eventuali variazioni… oltre che coccolarmi con i suoi piatti.
Inoltre sono da tre settimane fuori dalla mia cucina per lavori di ristrutturazione che sto facendo a casa e…. non so quando sarò di nuovo operativa.
Sommiamo una miriade di idee che mi sono venute nel frattempo e…. tracchete: mi  viene l’ansia.
Da prestazione, visto il procedimento per ottenere gli strati, da confronto con chi, in cucina, se la cava meglio di me  (ho visto e vedo cose che noi umani…) che mi ostino a partecipare nella vana illusione di riuscire almeno a stare al passo.
Insomma sono stata tentata di gettare la torta spugna.
Poi mi sono messa a riflettere e ho pensato che, per la famiglia sarebbe stata una buona alternativa alle mie *solite* torte salate.
Ed è arrivata Alessandra, in una serata di metà Settembre , con una sorpresa inaspettata ...





 … le biete le trovo senza problemi… le uova ci sono quelle che mi porta la collega dalla campagna… le cannucce non mancano mai in casa nostra…
Mi sa che anche stavolta non posso sfuggire all'MTC di Settembre!

PASQUALINA CON LA VERA PRESCINSEUA
Per la Pasta della Pasqualina

300gr di farina 0 (non avevo la Manitoba...acci)
6gr sale
30 gr olio
1/2 bicchiere vino bianco secco (buono!)
1/2 bicchiere acqua
olio EVO per spennellare la sfoglia.


NB con questa dose mi sono venute una Pasqualina in teglia da 20cm e due torte salate monoporzione... da 10/13 cm.

Pasta: Impastare  farina “0” (meglio manitoba regge meglio quando si tira sottile) con sale,  olio, ½ bicchiere di vino bianco secco e circa ½ bicchiere di acqua bastante per una pasta morbida (circa 150 gr di liquidi), ma non appiccicosa. Dividere in 5 palline e fare riposare coperta almeno 1 ora, meglio 2.

Pulite 1,2 kg di bietole, togliendo quasi tutta la parte del gambo, tagliatele a striscette e saltatele in padella con olio e.v.o. maggiorana e cipolla tritata. Deve asciugarsi bene l’umidità. Lasciare raffreddare.
In una ciotola lavorate 250 gr di “prescinseua” genovese con 50 gr circa di parmigiano grattugiato, un pizzicone di maggiorana, sale e pepe.
Stendete una pallina in una sfoglia sottile e foderate il fondo e le pareti di una teglia tonda (diametro 20) unta d’olio facendola un poco debordare (ungete anche il bordo della teglia altrimenti la pasta si strapperà quando dovrete arrotolarla) Ungete la pasta di olio con il pennello, stendete la seconda sfoglia. Versate dentro le bietole, sopra il composto di formaggio.
Poi con il dorso di un cucchiaio fate 3 o 4 incavi a distanza regolare e in ognuno rompete un uovo; salate e pepate e versate un filino d’olio su ognuno. Le altre 3 sfoglie devono essere tirate sottilissime e non devono assolutamente avere buchi; io le tiro prima con il matterello e poi mi aiuto allargando la sfoglia con i pugni infarinati e ruotandola (non è facile farlo senza bucare la sfoglia).
Tirare la prima delle tre sfoglie e coprire il ripieno facendo debordare la sfoglia di lato. Ungere bene la superficie con un pennello o con le dita delicatamente (sotto ci sono le uova intere!!!). Appoggiare la seconda sfoglia, ungere bene, appoggiare al bordo una cannuccia per soffiare aria fra uno strato e l’altro di pasta del coperchio, appoggiare l’ultima sfoglia e ungete anche questa molto bene. A questo punto arrotolare il bordo a cordoncino (se è troppo tagliarne una parte con le forbici).
Se usate una cannuccia con il gomito non ci sarà rischio che qualche micro goccia di saliva arrivi alla torta, terrore di molti!!! Una volta si usava un maccherone lungo!
Quando è ben gonfia come un palloncino togliete rapidissime la cannuccia e sigillate l’apertura.
Infornare a 180° per 40-50 minuti o fino a doratura della pasta.
Appena tolta dal forno spennellate delicatissimamente di olio. Raffreddandosi la pasta si ammorbidirà e, se l’avrete fatta abbastanza sottile, scenderà come un velo..... ED E' VEROOOOO!




Con questa ricetta partecipo all'MTC di Settembre.... fiuuuu!!!


giovedì 20 settembre 2012

Il bello del *vintage*e il semifreddo al caffè della mia mamma.


Va di moda il *Vintage*. O meglio: è sempre andato di moda  solo che si chiamava *vecchiume*, *brocantage*, *rigattiere*, *robivecchi* e trovavi questi oggetti di tutti i tipi, sulle bancarelle dei mercatini delle pulci.
Milano aveva la sua *Fiera di Senigallia*, che ha subito svariati spostamenti e che, ultimamente, sciorina i banchi in uno spiazzo sul Naviglio e dove, quando ero giovane, ogni sabato gironzolavo. Il mio primo (ed unico) *chiodo* viene da qui, segno di ribellione di una teenager tanto ribelle … da indossarlo solo dopo essere uscita di casa ed aver voltato l’angolo.
Ci si trovava (e ci si trova, tutt’ora) di tutto:  abbigliamento militare a vecchi cappelli, vecchie magliette ai dischi in vinile (oggi oggetto di culto, ieri meno cari che in negozio), libri vecchi e strumenti musicali, il tutto mescolato tra una folla *alternativa* e non, dove il Martirio crede di tornar giovane mentre gironzola quasi ogni Sabato mattina.
Il fatto è che, da questo ammasso di cose vecchie, il Martirio torna sempre fiero con qualche *reperto* del quale farei pure a meno come, ad esempio, una serie infinita di borselli militari, quelli che in tempo di guerra portavano i fanti a tracolla.
Per non parlare delle varie serie di gamelle di alluminio, da lavare RIGOROSAMENTE a mano, che *possono servire per portarsi il pranzo in ufficio* (bravo neh?! E nel microonde ci metti l’alluminio?). Oppure delle camicie pesanti, in quel bel verde militare che starebbe bene solo a Grisù, con la bandierina della DDR cucita sul taschino o sulla manica, che puzzano di chiuso e di umidità che nemmeno un vagone di orsetti con l’ammorbidente riescono a togliere.
Poi ci sono le scatole e scatolette di legno, in stati pietosi, che ripara e riporta a originali splendori in pomeriggi di duro lavoro nella cantina della casa di campagna, armato di carta abrasiva, olio rosso, mordente e quant’altro.
Poi, se gli chiedo di veder se trova qualche pezzo interessante per il mio set fotografico (non ridete, prima o poi comprerò anche la macchina fotografica decente!), beh! Allora si agita e mi dice che gli stipetti della cucina (e non solo!) sono pieni di tutte queste *paccottiglie* inutili ed ingombranti….
E’ quindi da un po’ che lo minaccio , con il mio mattarello *vintage*, di polverizzare con un lavoro sistematico e preciso, tutte le gamelle, le scatole e scatolette che farebbero posto volentieri a nuove caccavelle.
Tutta questa tiritera per introdurre un dolce (in vintagese…dessert) che fa molto anni 70, che faceva mia mamma quando c’erano ospiti di riguardo.  Buono ed aromatico sia per il caffè che per il liquore.
L’ho riproposto quest’estate ed è stato di nuovo un successo….
SEMIFREDDO VINTAGE AL CAFFE’


Ingredienti (per 6 commensali):

100 gr. burro a temperatura ambiente
100 gr. zucchero a velo
1 tazzina caffè forte ed amaro
2 tuorli
16 biscotti secchi
1 bicchierino (abbondante) di rum bianco
1 bicchierino (abbondante) di brandy
1 bicchierino (abbondante) di caffè forte ed amaro.

per guarnire
cacao amaro (avevo finito le codette di cioccolato... andrebbero meglio)
chicchi di caffè ricoperti di cioccolato

Montare il burro con lo zucchero a velo sino a che diventa bianco e spumoso.
Aggiungere, 1 alla volta, i tuorli.
Aggingere a filo 1 tazzina di caffè.

Prendere una pirofila (meglio se in vetro), foderarla con la pellicola trasparente.
Distribuire sul fondo metà del composto livellandolo bene.
In un piatto fondo o una terrina, mescolare i 2 liquori ed il caffè rimasto.
Distribuire metà dei biscotti, imbevuti della bagna, sul primo strato di crema. Ricoprirli con un altro strato
di crema (sempre ben livellato) e aggiungere altro strato di biscotti.

Far riposare in freezer per almeno 2 ore. Prima di servire, capovolgere la teglia su un piatto di portata, togliere la plastica con la quale vi aiuterete a sformarlo, e cospargerlo di cacao (o codette di cioccolato).
Guarnirlo con i chicci di caffè e.... far una porca figura!!!


lunedì 17 settembre 2012

LA SIGNORA DELLE PESCHE ED UNA MARMELLATA PROFUMATA.


*Mammaaaa è arrivata la Signora delle Pesche!*
Queste grida giungono dal giardino in bel pomeriggio di Agosto. Arc arriva trafelato sotto le finestre ad annunciare l’arrivo di quella che, da sempre, è la *Signora delle Pesche*.
Passa ogni anno con una macchina piena di casse di pesche gialle del suo frutteto, a suonare ogni campanello e ad entrare in ogni cortile per vendere la parte di produzione che non consuma direttamente, e che matura tutta assieme, alle frazioni montane.
Sono pesche raccolte direttamente dalla pianta appena prima della loro maturazione piena.
Gialle, pelosette, profumano di sole. La sfumatura rosata della loro buccia ricorda le gote di Arc, ora che corre accaldato dalla mamma.
La mamma corre a prendere il borsellino e scende in cortile dove l’aspetta la Signora delle Pesche.
Ogni anno sempre più stanca, più bianca,  con le mani rovinate dall’artrosi e dal tanto lavoro, passa subito dopo Ferragosto a vendere la sua merce.
Si salutano come se si fossero date appuntamento e, aiutata dalla mamma e da un bastone, risale con difficoltà la stradina in salita e si avvia alla macchina dove, seduto al posto di guida, le aspetta il marito, anche lui ogni anno più curvo e stanco.
Due chiacchere le scambiano sempre volentieri e, mentre la mamma sceglie la cassetta più bella, Arc freme. Non ce la fa quasi ad aspettare che si concluda l’affare, smania di assaggiare una di quelle pesche paffute e profumate.
Ma la mamma si dilunga! Parlano degli anni che passano; dei malanni che si accumulano; del raccolto che è stato un po’ meno proficuo dello scorso anno e della pensione che non basta mai. Si salutano poi come vecchie amiche, con la Signora delle Pesche che sorride tra le rughe, come una maga buona che regala i frutti di un albero magico.
*Mamma sono convenienti le pesche che compri da lei?* Arc è curioso.
Lo guarda seria, la mamma e gli risponde che, in questo caso, non si guarda al prezzo, ma alla bontà ed alla genuinità della frutta. Sapere poi che sono state un aiuto per due persone che fanno fatica a tirare la fine del mese beh, le fanno sembrare ancora migliori.
La mamma è felice e scende in cortile con la sua cassa piena di delizie.
*Mamma posso mangiarne una?*
Scelgono la più matura, succosa e calda. Lavata sotto l’acqua della fontana, sembra poi ancora più buona. Arc la divora lavandosi la faccia con quel succo dolce e profumato. Ha ragione la mamma, QUESTE pesche sono speciali.
Sbircia e sorride: *Che ne farai delle altre?*
*Una marmellata, la scorta di sole per l’inverno! Mi aiuti?*
Arc acconsente e già pensa alle merende del prossimo anno scolastico, con il *sole dentro* come i  bellissimi frutti della Signora delle Pesche.

MARMELLATA DI PESCHE GIALLE E MARSALA.

Ingredienti per 4 vasetti:
1 Kg. Pesche gialle mature
500 gr. zucchero semolato
200 gr. zucchero di canna
2 bicchierino di Marsala Fine

Lavare accuratamente le pesche, pelarle e farle a piccoli pezzi.
Metterle in una capace pentola con lo zucchero e 1 bicchierino di Marsala.
Lasciarle in infusione per una mezz'ora poi accendere il fornello e cuocere fino al raggiungimento di 105°C.
Se non si possiede un termometro fare la prova piattino: versare una goccia di marmellata su di un piattino pulito, inclinarlo e, se la goccia si solidifica, è pronta.
Spegnere il fornello, versare il secondo bicchierino di Marsala, mescolare ed 
invasare in vasetti sterilizzati, chiudere ermeticamente e far raffreddare a testa in giù. 
Quando freddi, verificare (rigirandoli) che si sia creato il vuoto.
Riporre in un luogo fresco e consumare quando si vorrà risentire il sapore ed il calore di un raggio di sole estivo.

giovedì 13 settembre 2012

Come ti intorto il cuoco, una ricetta rubata e la crostata della Val Rendena


Vi è mai capitato di volere volere volere una ricetta di un piatto, una torta, una pietanza *particolare* che avete assaggiato in un ristorante, una trattoria, un pub?
A me capita spesso e, dato che il Martirio afferma che ho una faccia da schiaffi (non è propriamente il termine usato da LUI, ma questo lo posso scrivere… l’altro no), spesso chiedo la ricetta ai camerieri.
Debbo dire che spesso mi vengono riferite a voce e, essendo poco fine prendere appunti stenografando mentre si è comodamente seduti in un locale, attorniati da altri commensali non particolarmente interessati a quante uova e se vanno *sbattute leggermente* o *montate a crema*, cerco di mandare a mente.
Lo stato dei miei neuroni è notoriamente provato (dall'età, dal logorio della vita moderna, fate vobis) pertanto: una volta pagato il conto, chiusa alle spalle la porta del locale, ecco già venirmi i dubbi. Inutile chiedere concitatamente al Martirio *Ti ricordi se il burro era a temperatura ambiente o liquefatto?*. Ti guarderà esterrefatto, a malapena ricorderà di che cosa stai parlando e... persa. La ricetta è persa (come i tuoi neuroni, del resto).
Magari ci provi, tentando di ripetere esperimenti che fanno di te novella Marie Curie, alle prese con bilancini e varie, ma nulla. Persa.
Questa estate, invece, sono riuscita ad estorcere una ricetta tipica della Val Rendena, amena zona in provincia di Trento, al cuoco di un ristorante tipico.
Da qualche anno Andrea ed i nonni, trascorrono almeno un mese in un campeggio vicino a Pinzolo.
Erbetta verde, ambiente famigliare, aria pulita e fresca. A questi ingredienti si somma anche la piacevole abitudine di cenare fuori con la famigliola e gli amici quando andiamo a trovarli il sabato sera.

Tra le varie possibilità per cenare fuori, c’è questo Maso vicino al campeggio dove si mangia molto bene e cibi tipici trentini.
Questa volta, al momento del dolce, ho chiesto che offriva il *carrello*: la crostata d’erbe, mi è stato risposto.
Non fatevi domande: l’ho ordinata subito e, dopo averla assaggiata ho chiesto come sempre se mi passavano la ricetta.
La cameriera mi ha detto che l’avrebbe chiesta al cuoco ma che era solitamente restio a *girarle* agli avventori.
Me ne sono dimenticata sino a quando, una volta pagato il conto, arriva la cameriera trafelata con un foglietto minuscolo e mi comunica, allibita *Non so cosa sia successo ma questa è la ricetta!*

Firmata!
So che sapete già che mi sono fiondata in cucina a salutarlo, Giambattista, a fargli i complimenti per tutto il desinare e soprattutto per il dolce. Gli ho anche detto che avrei pubblicato il dolce su queste pagine, dove mi diverto a *tirarmela* e a pasticciare di cucina.
La ricetta pare sia una ricetta di famiglia (la famiglia che gestisce sia il camping sia il Maso) ed è un bellissimo regalo che dedico a Francesco, Jurika ed a Giambattista.
L’ho rifatta al rientro dalle ferie e l’ho proposta ai colleghi, che hanno apprezzato… pare: che ne dite?


Quindi: bando alle ciance ed eccovi

La Crostata d’erbe della Val Rendena



Ingredienti.
Pasta frolla
240 gr. burro
200 gr. zucchero
200 gr. farina 00 + 50 gr. fecola
3 tuorli

Per il ripieno
1 gamba di biete (un mazzetto)
1 bicchierino di grappa
3 chiare d’uovo
50 gr. amaretti
25 gr. uvetta

Impastare velocemente la frolla con la punta delle dita.
Stendere i 2/3 della pasta nella tortiera unta ed infarinata (io l’ho ricoperta con la carta da forno).
Farla riposare in frigorifero (io 30 minuti).
Nel frattempo lavare e mettere a bagno l’uvetta nella grappa.
Sbriciolare gli amaretti.
Lavare, asciugare e tagliare sottili le biete.
In una ciotola capace, unire tutti gli ingredienti (l’uvetta CON la grappa), unire le chiare d’uovo (io montate leggermente a neve).
Versare il ripieno sopra la frolla. Con la pasta rimasta formare le griglie.
Infornare a 150° per 40 minuti con forno ventilato.
Fare la prova stecchino (se esce asciutto…è pronta!) e far raffreddare bene prima di sformare.
Il giorno dopo è ancora più buona (come quasi tutte le crostate).